Mostra fotografica “Residui” – Gerlando Giaccone e Giuseppe Iannello

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Ogni città guarda al suo passato attraverso una lente temporale che ne altera la percezione. La stratificazione del territorio avvenuta nell’ultimo mezzo secolo ha reso sempre più complessa la lettura delle sue trasformazioni, dei processi che le hanno determinate e delle conseguenze che ne sono scaturite, di quello che rimane e di quello che scompare. Accade così che gran parte del patrimonio architettonico del Novecento non è stato in grado di radicarsi nella memoria collettiva sfuggendo, apparentemente, a qualunque processo di sedimentazione, rimanendo lontano dai riflettori della critica, ma soprattutto fuori dallo sguardo distratto della politica e dei cittadini. Questo progetto fotografico nasce nel 2013 con la volontà di conoscere e provare a raccontare una parte di questa eredità costruita, uno tra i più ingombranti residui del secolo breve, il lascito di un fenomeno, quello industriale che, soprattutto in Sicilia, si è consumato talmente in fretta da rischiare oggi di scomparire senza lasciare traccia. Una ricerca condotta nel territorio palermitano e della sua provincia, alla scoperta delle molte fabbriche ormai da tempo dismesse, nascoste dietro recinti invalicabili, disseminate tra le ville della Piana dei Colli, dietro i parcheggi di grandi discount, inglobate nel tessuto urbano, spesso inaccessibili. Opere di grande pregio architettonico, come l’ex cotonificio di via Partanna Mondello, insieme ad edifici quasi del tutto sconosciuti ma non per questo meno interessanti, come l’ex cantina vinicola Due Valli in via Sofocle, o l’ex cereria Gange in via Marinai Alliata; e ancora i grandi stabilimenti industriali che costeggiano l’A29 da Termini Imerese fino a Carini, o le alte ciminiere che svettano dietro Villa Cattolica a Bagheria. Singoli episodi dislocati nelle aree in cui ragioni geografiche o di mercato hanno richiamato l’impiantarsi di piccoli e grandi nuclei produttivi, raramente riconducibili a veri e propri poli industriali. La loro dislocazione sul territorio s’intreccia alla complessa storia dei piani urbanistici che si susseguono fino ad oggi cercando di regolamentare la crescita delle città, senza riuscirci; quella stessa pianificazione che dal 2014 a Palermo ne prevede la demolizione trasformando le aree industriali dismesse nell’ennesima occasione per manovre di speculazione edilizia. Il paesaggio delle fabbriche che emerge da questi scatti si presenta ai nostri occhi come un parco archeologico della modernità; un paesaggio costruito che si è inserito come una impronta durevole sul territorio, instaurando un rapporto imprescindibile con preesistenze storiche e naturali, siano esse elementi di richiamo nella progettualità o pura cornice; residui per i quali però sarà sempre più difficile riconoscerne e conservarne il valore, se non attraverso la memoria.  Ecco perché diventa necessario esplorare quel che resta di questi luoghi, della loro industria effimera, dei loro spazi svuotati, delle ambizioni, delle storie, dei fallimenti; la fabbrica in quanto categoria rappresentativa della società moderna, luogo di lavoro e di produzione, di aggregazione, di vita pubblica e privata, di sperimentazione e tradizione, ma anche espressione architettonica di quelle specifiche istanze progettuali che la caratterizzano. Interrogarsi oggi sulla fabbrica, la sua presenza sul territorio, il suo ruolo nella costruzione del paesaggio contemporaneo, può aiutarci forse ad intraprendere una lettura più attenta e consapevole di questi luoghi, del loro significato e, non ultimo, del loro potenziale di riconversione a supporto della città densificata.

Le fabbriche e gli stabilimenti industriali sorti sul territorio siciliano a ridosso delle estreme periferie cittadine o, addirittura, nei paesi vicini come Carini da una parte e Termini Imerese dall’altra, sono stati da tempo abbandonati e rappresentano oggi scheletri inquietanti che incombono sul patrimonio artistico architettonico o deturpano l’ambiente naturale circostante.Il tentativo, ormai lontano nel tempo, da parte di imprenditori animati di buona volontà, sebbene talvolta improvvisati, di introdurre la produzione industriale nella nostra regione, si è esaurito in breve senza influenzare positivamente la drammatica condizione socio-economica.Parafrasando il celebre titolo attribuito all’opera di Goya “Il sonno della ragione genera mostri”, si potrebbe asserire che in Sicilia il sogno della fabbrica genera eco-mostri.Retaggi della deludente avventura restano gli edifici e le infrastrutture abbandonate. Si tratta di architetture talvolta audaci, altre volte meno importanti che rappresentano esempi di archeologia industriale estremamente “ingombranti”, ma effettuarne la demolizione scatenerebbe inevitabilmente una indecente speculazione edilizia.Una soluzione ragionevole consiste in una intelligente riconversione dei vecchi opifici, che conservi la consapevolezza dello scopo per cui sono stati costruiti, ma li renda fruibili e, come è già avvenuto altrove, trasformi gli spazi recuperati in ampi locali espositivi visitabili dal pubblico. A fronte dell’allarmante degrado denunciato attraverso le fotografie realizzate da Gerlando Giaccone e Giuseppe Iannello, l’aspetto artistico avrebbe potuto rivestire una importanza marginale, invece le stampe in bianco e nero riescono a veicolare con intensità l’aspetto spettrale che le fabbriche dismesse hanno fatalmente assunto. I due fotografi sono stati persuasi ad affrontare questo impegnativo tema dall’architetto Glenda Scolaro, con lo scopo di rappresentare anche certi particolari delle costruzioni e di individuare diverse località da un punto di vista prettamente urbanistico. I venticinque scatti sono stati realizzati su pellicola 120mm. adatta sia per il regolare formato quadrato, che per quello panoramico e, successivamente, sono state stampate in diverse dimensioni ricorrendo alla tecnica digitale.Il risultato espositivo non è affatto convenzionale, ma proprio per l’assenza di vetri, cornici ed altri elementi secondari, risulta attraente e coinvolge i visitatori nell’analisi tecnica e nella ricerca storica e ambientale che hanno alimentato un progetto destinato certamente ad ulteriori progressi.La mostra “Residui” propone le fotografie di Gerlando Giaccone e Giuseppe Iannello presso lo Spazio Cultura della Libreria Macaione e a Villa Niscemi Palermo.

Andrea Di Napoli.

Gerlando Giaccone, anni 42, avvocato,  fotografa da circa 20 anni. E’ grande appassionato di Polaroid. Fa parte del collettivo Polaroid Art Italy e  con loro ha partecipato a diverse mostre in Italia ed all’estero.

Giuseppe Iannello, anni 33, studia fotografia documentaria presso la University of South Wales di Newport Inghilterra. Entrambi sono molto legati alla fotografia analogica. Insieme hanno una camera oscura che permette loro di sviluppare, stampare etc. sino a formati di 4×5. Entrambi hanno una forte propensione per la fotografia documentaria ed il reportage.