Il mio sguardo@fuoco

Laboratorio intensivo di fotografia partecipativa a cura di Nuccia Cammara.

ph. Toti Clemente.

Ognuno di noi fa uso di un linguaggio interiore per codificare le proprie esperienze e categorizzare la realtà in modo da renderla accessibile all’ interno, accade a volte che la mera esperienza della realtà non può essere sempre tradotta adeguatamente in parole. “L’immagine” è stata usata spesso come strumento d’indagine esistenziale dagli artisti collocandosi su una zona di confine tra arte e psicologia. Il laboratorio propone un viaggio alla scoperta della propria interiorità, delle proprie emozioni, della propria visione nel mondo, una sorta di accompagnamento nel processo di maturazione dello sguardo (interiore e esteriore) per mettere a fuoco ciò che cattura la nostra attenzione, qualcosa capace di raccontare un’essenza. Un percorso intensivo di didattica esperienziale fuori e dentro l’aula durante il quale si alterneranno lezioni di tecnica fotografica ad esperienze introspettive con le immagini. Ciò consentirà ai partecipanti, la realizzazione di scatti consapevoli del proprio mondo interno in forma di immagini e in tal senso il laboratorio si articola in modo da creare degli spazi di lavoro fotografico personale e/o di gruppo nell’ arco delle giornate previste. Per partecipare al laboratorio è necessaria avere a disposizione, per tutta la durata del workshop, una macchina fotografica digitale o uno smartphone (se si tratta di giovani adolescenti o di chi non è provvisto di una fotocamera); non è necessario conoscere le tecniche fotografiche per usare il linguaggio fotografico, più che l’aspetto estetico, sarà valorizzato nell’ambito del percorso laboratoriale l’aspetto della comunicazione dell’immagine.

Gaetana Nuccia Cammara, Fotografa, Assistente Sociale presso Dipartimento Salute Mentale – UOC Dipendenze Patologiche ASP Palermo, counselor sistemico-familiare, ha coordinato “Palermo: uno sguardo a fuoco. Curare con la fotografia” P.O. di Piano Sanitario Nazionale 2010, è Responsabile del Ce.P.A.V. (Centro Permanente Arti Visive) ASP Palermo presso l’ex Ospedale Psichiatrico “Pietro Pisani” di Palermo. http://www.nucciacammara.it

Impressioni e riflessioni:

Chi ha, come me, pochi capelli o i capelli bianchi ricorderà certamente le conversazioni che nascevano spontanee fra quei viaggiatori sconosciuti che si accompagnavano in treno per un lungo viaggio. All’inizio ci si manteneva nell’informale, con un buon giorno o un buona sera; i saluti finali, dopo l’arrivo nella stazione, dopo aver partecipato reciprocamente ai racconti della propria vita, erano quasi sempre intensi; in quel momento sinceramente speranzosi di un incontro futuro che, regolarmente, non sarebbe mai più accaduto. Ecco, io ho vissuto questo laboratorio come una esperienza simile, in uno scompartimento più ampio e confortevole, ma anche qui con passeggeri variegati e mai prima conosciuti, di disparate età e genere, tutti accomunati dall’interesse per la fotografia. Non so se chi partecipava si approcciava pienamente disponibile all’operazione, ma l’esperta conduttrice ha da subito posto in essere paletti e, con la sua efficace strategia, una volta presi idealmente per mano, anche i più restii si sono affidati alla guida. L’inizio del corso ha mostrato lavori particolari e intensi realizzati nell’ambito di terapie di recupero, legati a percorsi post-trauma ovvero a difficili esperienze di vita vissute da soggetti terzi a noi sconosciuti. Il coinvolgimento nelle visioni è stato del resto un modo per avvicinare con leggerezza il gruppo all’obiettivo del progetto ed introdurci ad un’auto-analisi profonda che, altrimenti, a freddo, sarebbe stata difficile se non impossibile. L’approccio graduale era quindi fondamentale per aprire automaticamente non solo porte ma anche finestre ed ogni cosa che consentisse di cogliere a pieno l’avvento di una nuova luce. Personalmente non ho mai ritenuto utile l’opera di psicanalisti o sociologi, se non in taluni casi, dove hanno una valenza insostituibile. Ciò potrebbe anche derivare dal fatto che nel mio vissuto mi metteva sempre a disagio lo sguardo penetrante e indagatore di un mio caro amico psichiatra, che aveva a che fare coi matti … Cercavo di sfuggirgli; in quello status discutere con lui risultava sempre pesante. Tornando al laboratorio, al di là dell’esternazione prodotta da ciascun partecipante, nel relazionare e relazionarsi, di certo sono cadute in ognuno le proprie barriere mentali .. del resto, al di là delle parole, si sapeva che l’obiettivo finale era quello di raccontare e narrarsi attraverso un nuovo linguaggio: quello fotografico. Gli esperimenti e la pratica attuata nel secondo giorno, hanno messo a frutto il canovaccio trasmesso nel giorno precedente dall’abile pilota; tutti i passeggeri dell’occasionale torpedone avevano infatti qualcosa da comunicare. Ognuno ha prodotto un suo lavoro specifico. Qualcuno l’ha gridato senza che in realtà si sentisse un filo di voce, altri hanno elaborato all’interno le sensazioni provate e, deliberatamente, non le hanno esternate al gruppo, qualcuno ancora, tra una battuta e l’altra, si è reso disponibile a farsi leggere. In ciò, ciascuno ha comunque immaginato i propri colori, altri – giocando abilmente con tecniche fotografiche – hanno approntato racconti minimali densissimi, sfruttando al massimo l’espressività penetrativa della fotografia in B/N. In conclusione, una bella esperienza. Un’occasione che ha consentito di entrare in un anfiteatro diverso, con attori e musiche apparentemente estranee al nostro quotidiano (come accade, per esempio, nelle canzoni di San Remo che ascolti per la prima volta) e con un direttore d’orchestra impegnato a dirigere un concerto “sperimentato”, per me originale, ricco di immaginazione, fantasia e assolutamente nuovo.

Essec.

Phototherapy. Non sorprende che la fotografia possa fornire un valido contributo nel trattamento del disagio psichico, favorendo la riabilitazione dei pazienti. La realizzazione sempre più facile di immagini fotografiche e la possibilità di procedere rapidamente alla loro diffusione o condivisione, specialmente negli ultimi anni, ha portato molto spesso a sostituire le consuete  “frasi di senso compiuto” con immagini semplici ed efficaci. Non suscita alcuna meraviglia che l’informazione, lo sport, la scienza e lo spettacolo ricorrano ad un adeguato supporto foto/video e, ragionevolmente, non deve sorprendere neppure che la fotografia possa fornire un valido contributo nel trattamento del disagio psichico, favorendo la riabilitazione dei pazienti. Da molti anni Nuccia Cammara si dedica con passione alla Fotografia, infatti ha al suo attivo reportage, mostre ed altri progetti artistici. Tuttavia, quando, in qualità di assistente sociale presso il Dipartimento Salute Mentale all’ interno dell’ ASP, decise di introdurre nell’ abituale percorso riabilitativo anche la Fotografia, comprese che era necessario mettere da parte tutte le proprie competenze tecniche per concentrarsi sul linguaggio e sul significato degli scatti realizzati. Integrare le cure convenzionali con le immagini si è rivelato uno strumento utile ai pazienti per descrivere e ripercorrere il proprio tormentato vissuto. Accolta nei locali abitualmente destinati, dall’ Associazione Imago, a biblioteca, galleria e atelier, la Cammara, coadiuvata da due qualificate assistenti, ha sottoposto alla sua osservazione, in forma didattico-sperimentale, un gruppo composto da una quindicina di fotoamatori, con lo scopo di spiegare loro le “risposte” che una fotografia è in grado di fornirci e, probabilmente, anche per studiare le reazioni di “normali” soggetti volontari, ovvero appartenenti alla stragrande maggioranza delle cosiddette persone sane. L’originale iniziativa è stata patrocinata dalla F.I.AF. L’approccio amichevole e l’entusiasmo dei partecipanti hanno consentito un sereno svolgimento delle attività proposte in rapida successione nel corso delle due avvincenti giornate dedicate alla fotografia partecipativa. Oltre alla fase di ripresa, l’attività di laboratorio prevedeva altri passaggi successivi, che andavano eseguiti intervenendo fisicamente sulla propria fotografia, per personalizzarla, servendosi di colla, forbici e pennarelli. Al termine, rispondendo ad alcune domande poste dalla competente professionista che guidava tutto il gruppo, ciascuno si è sentito emotivamente coinvolto ed ha appreso qualcosa di sé che fino a quel momento ignorava. Fornire i principali elementi della metodologia foto terapica a coloro che, per mestiere o per hobby, coltivano con continuità il proprio interesse verso la fotografia, può servire loro a realizzare immagini più ragionate e dai contenuti più chiari. Richiedendo il medesimo impegno di prima, i  prodotti dei fotoamatori  veicoleranno una visione della realtà non fine a se stessa, ma più profonda. Anche se, dopotutto, la realtà rimane inalterata, l’acquisizione consapevole della sua rappresentazione consentirà dei benefici che nei pazienti si manifesteranno attraverso un personale benessere o un progresso nel raggiungimento di una condotta equilibrata, mentre i fotoamatori sentiranno crescere  il proprio impegno e stimolare la propria creatività. L’innegabile successo ottenuto della Phototherapy è documentata clinicamente dai progressi dei pazienti trattati. I risultati concreti, pertanto, incoraggiano la pratica di un  metodo che si serve della fotografia per un fine nobile: curare.

Andrea Di Napoli.

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